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Cultura

L’intrusione discreta nelle case degli altri

Le video-call con amici, partner o colleghi possono essere un modo per conoscere diversamente i nostri interlocutori, entrando furtivamente nelle loro case. La casa – più di prima – è racconto di chi la abita.

Video-tutto

In questi strani tempi d’emergenza, fa sorridere rileggere l’articolo pubblicato nell’Aprile 2016 dal T Magazine del New York Times dal titolo Is Staying In the New Going Out?. E se il NY Times si interrogava sulla forza centripeta della casa grazie alle innumerevoli possibilità di farvi entrare il mondo esterno (tramite servizi di delivery, streaming, dating, ecc.), oggi stiamo vivendo una situazione capovolta: dobbiamo necessariamente ricorrere a questi strumenti per sostituire le attività che non possiamo più fare.

Stare in casa is the new uscire e proprio per emulare al meglio l’“uscire” l’emergenza Covid ci ha introdotto ad uno strano mondo fatto di continue videochiamate e meeting online (per chi non avesse ancora ben chiaro come muoversi consigliamo questa guida). Parliamo con amici, seguiamo lezioni, lavoriamo con i colleghi, facciamo una seduta con il nostro terapeuta, facciamo sexting con il nostro partner: tutto tramite una webcam e un microfono, tutto da casa.

La forza narratrice della casa

La singolare possibilità che questo esperimento forzato ci sta concedendo – al netto dello stravolgimento di ogni sorta di gerarchie – sta nel poter conoscere, o riconoscere, in maniera inedita la persona con cui interagiamo, proprio perché questa si mostra finalmente nella sua ambientazione più intima: la casa.

Sebbene proprio quest’aspetto abbia sollevato di recente non poche criticità legate alla privacy,quando il nostro interlocutore mostra angolazioni della sua casa che non abbiamo mai visto o non avremmo immaginato (tra tutte la camera da letto), noi trasformiamo, in qualche modo, l’idea che avevamo di quella persona proprio perché la vediamo nel luogo in cui lei ha – per necessità o per scelta – deciso di mostrarsi (a meno che il nostro interlocutore non usi la terribile impostazione del virtual background che molte app concedono).

La soggettività dell’abitare rende lo stesso oggetto d’arredamento, la stessa poltrona o la stessa sedia, assolutamente personali, andando oltre l’architettura e il design.  Nel 2016 la mostra The House Project del fotografo dell’assurdo Roger Ballen ci aveva raccontato magistralmente come «the mind is like a house and the house is like the mind». Ma cosa le nostre abitazioni raccontano di noi? Cosa riusciamo a immaginare sbirciando sulla parete tappezzata di quadri del nostro capo o sugli oggetti di design – Ikea o non – che scorgiamo tramite le nostre webcam?

Abitazioni e personalità

Secondo la ricerca del 2016 del Salone del Mobile di Milano, LivingScapes, viviamo in abitazioni a metà tra l’interno e l’esterno (le chiamano InsideOut Home). In questi strani giorni, siamo noi a entrare dall’esterno in una camera da letto sottosopra, in una bianchissima parete degna di chi ha qualcosa da nascondere, in un soggiorno caotico di altre persone che sentiamo parlare o vediamo muoversi dietro il nostro interlocutore. Scopriamo i suoi gusti musicali spiando locandine di concerti appesi alle pareti o vinili in bella vista, scopriamo le letture preferite scorgendo stralci di librerie, scopriamo scelte di design ardite in stanze coloratissime o, al contrario, incredibilmente minimaliste. Scopriamo lo stare in casa per quello che siamo, in qualche modo nudi. In fondo chi l’avrebbe mai immaginato che il mio capo ascoltasse i Sex Pistols?

Foto in copertina: G. Assenza, Nella sottrazione mi spiego, 2019

Di Alessandra Migliore

Non so se mi spiego.

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