Cosa è successo questo mese e cosa vale la pena di essere scritto e di essere raccontato? Di questo momento sospeso è stato scritto tanto, tantissimo: su ogni tema è stato dato un parere, su ogni problema si è espresso un esperto. Un sovraccarico cognitivo le cui conseguenze dirette sono la fuga o la semplificazione. La prima pagina del NY Times di domenica 24 maggio, bianca e truce in quanto estremamente vera, ci palesa nella sua semplicità quell’incalcolabile perdita di storie normali o eccezionali che, semplicemente, perdiamo perché non le diffondiamo: pochissimi hanno la possibilità o – ancora più probabilmente – la voglia di raccontare quella storia.
Crediamo che ci sia qualcosa di irrisolto, una contraddizione, un momento o un luogo preciso che riguarda tutti e che rimane inespresso perché ritenuto “non interessante”. Abbiamo deciso allora di raccontarlo così questo mese, raccontando non la storia, bensì una storia. Per farlo abbiamo scelto la declinazione seriale di quattro luoghi. Oscillando tra interno ed esterno, titubanti, abbiamo attraversato questo mese luoghi e non-luoghi. Crediamo che lo spazio sia stato il vero protagonista di questo mese. Spazio che ci è stato privato, spazio riacquisito, spazio nascosto e spazio ritrovato: ecco quindi quattro variazioni per declinare lo spazio del nostro e del vostro mese di maggio.
#1 La città o della riappropriazione dello spazio pubblico
Naufraghi incerti in città troppo piene, siamo emersi dalle nostre case per riappropriarci dello spazio pubblico che ci è stato negato. Dal 4 maggio, liberi, tocchiamo con stupore le strade e le piazze, dal 18 anche alcuni musei e biblioteche. Quale stupore di bambino si prova nell’ottenere qualcosa che ci è stato negato? Lo spazio pubblico è il luogo tra i luoghi, raccontato spesso nella sua eccezionalità di luogo sociale. Ci sono dei luoghi della città, sempre uguali, normali, ma che abbiamo percepito come luoghi di comune elezione nella neo-normalità di questo mese. Pensate a piccole piazze di quartiere, panchine che avremmo usualmente snobbato: una ritrovata dimensione di “festa patronale” implicita e continua proprio perché riscoperta. La dimensione del quotidiano, dell’ordinario si manifesta ancora in tutta la sua potenza d’espressione, prima di forme e dunque di significati nei ritrovati spazi pubblici delle nostre città.
#2 La campagna o della primavera negata
Questa primavera è più verde delle altre. Maggio è esploso di colori mai visti prima e noi, piccoli esploratori improvvisati, trainati dall’emozione della scoperta ci avviciniamo alla campagna. La campagna, o qualunque sottocategoria di essa come i parchi ma anche i giardini interni dei palazzi, ci attrae come mai prima. Maggio è stato attraversato da due fenomeni: la metropoli che assume la dimensione di paesello iper-popolato nelle sue brevi oasi verdi, il suburbano che assume il ruolo di spazio da contendere, di desiderio comune per il suo essere rurale. Il minimo comune denominatore è il verde.
#3 La strada o del microcosmo interno-auto
On the sidewalk characters swarmed. Everybody was looking at everybody else.
Così Kerouac in On the road, così la strada di maggio, brulicante di personaggi che si scrutano l’un l’altro, finalmente sicuri dietro mascherine quindi smaliziati nel guardare con più curiosità l’altro. Di contro, il microcosmo dell’automobile, piccola sicura certezza senza protezioni, piccola sicura ambientazione di emozioni private. La dimensione della strada opposta alla dimensione interna dell’automobile o dei mezzi pubblici (o dell’ancor più poetica metropolitana), trasla la mobilità urbana in una sorta di esperienza di viaggio del breve-termine. Il poliedrico artista Ed Ruscha che ha fatto di questo tema il leitmotiv di suoi reportage fotografici, ha prodotto un libro, Every Building on the Sunset Strip, a pagina continua lungo più di 7 metri proprio per raccogliere ogni dettaglio di una sola strada di Los Angeles vista dalla sua auto.

#4 I dehors o della ribellione al monopolio del supermercato
Variazione dello spazio a metà tra il “non so se posso andarci” e il “mi sento al sicuro perché siamo congiunti”, il ritorno alla sacra attività del consumare cibi e bevande in uno spazio tra interno ed esterno, tra chiuso e aperto ci ha finalmente depurato dal monopolio del supermercato. L’evasione domestica soddisfatta con il grande spazio pop della grande distribuzione è finalmente stata sostituita dal piccolo universo di bar e dehors dei bar. Perché lo preferiamo? Per il suo essere intimamente luogo sociale, per i suoi tempi più lenti e non funzionali.
Nel passaggio dall’isolamento ad una libertà sbiadita ma fortemente emozionale, ricorderemo il mese appena trascorso come un passaggio, il superamento di una frontiera, una passeggiata sul wild side da rincorrere. Quattro variazioni dello spazio diventano espressione delle nostre esistenze.