Mi conosci? Mi conosci davvero? Hai opinioni sulle mie opinioni, sulla mia musica, sui miei vestiti, sul mio corpo. Alcune persone odiano ciò che indosso, altre lo lodano, qualcuno lo usa per umiliare gli altri o umiliare me.
Con queste parole, Billie Eilish esordisce in un video-messaggio conciso e potente rivolto ai suoi haters. Proiettato all’inizio del tour Where do we go?, in apertura della tappa di Miami, il video viene caricato su Youtube il 26 maggio e in poche ore ottiene migliaia di visualizzazioni. Perché ne stiamo parlando?
L’espressione body shaming, fino a qualche tempo fa, non faceva nemmeno parte della nostra lingua parlata. La derisione del corpo altrui, perchè non conforme ai canoni di bellezza più tradizionali, viene enfatizzata e portata alla luce dal web. I social media offrono agli utenti la possibilità di esprimere il proprio giudizio senza filtri e mediazioni. Non che il body shaming non esista nel mondo analogico, anzi, esiste eccome e non è un fenomeno recente. Solo che finalmente qualcuno ne parla, poiché (paradossalmente) nel virtuale la sua evidenza è inequivocabile.
Il dibattito mai chiuso
Nel potente monologo, Eilish tocca un paradosso che l’ha seguita per tutta la sua carriera. Negli ultimi due anni, lo stile della cantante (che spesso indossa pantaloni e felpe over-size) ha scatenato un vero e proprio dibattito: da un lato viene derisa per l’apparente incapacità di vestirsi come una donna; poco dopo viene pesantemente criticata per aver postato una foto in costume. In un’ intervista alla BBC Billie Eilish racconta di aver smesso da un pezzo di leggere i commenti su Instagram perchè letteralmente «le stavano rovinando la vita». Ricordiamo che la cantante ha soli 18 anni.
C’è poi chi elogia il suo stile da tomboy screditando indirettamente le donne che vogliono vestire in maniera femminile. In un’intervista a V Magazine, Billie Eilish si allontana anche da queste posizioni, dichiarando: «I commenti positivi su come mi vesto hanno questo elemento di slut-shaming. Tipo: ‘sono così felice che ti vesti come un ragazzo, in modo che le altre ragazze possano vestirsi come ragazzi, in modo che non sembrino t****e’. […] Non mi piace che ci sia questo strano nuovo modo, in cui sostenermi vuol dire insultare le ragazze che potrebbero non voler vestirsi come me».
Billie si è così scagliata contro le connotazioni negative e sessiste che contraddistinguono le opinioni su di lei e sulle donne in generale, confermano quanto nella società attuale, gli stereotipi di genere siano ancora vivi e vegeti. Prima di Billie Eilish, sono molte le star che si sono espresse in merito, perché vittime di body shaming: da Rihanna a Beyoncè, da Kate Winslet ad Adele, e molte altre. Not my responsibility è però uno degli attacchi più riusciti (e necessari) al body shaming per un paio di motivi molto semplici.
Billie Eilish è sempre Billie Eilish
Il primo motivo che rende Not my responsibility tanto necessario quanto efficace, è che a lanciarlo è Billie Eilish. Una cantautrice statunitense di soli 18 anni, che in poco tempo ha scalato le classifiche mondiali. Un enfant prodige la cui immagine è ugualmente fonte di discussione o ispirazione per milioni di persone, soprattuto per la generazione Z.
L’ascesa di Billie Eilish (a qualche anno di distanza da Lady Gaga) decreta la fine del monopolio della bellone nello star system statunitense. La corsa verso canoni di bellezza irraggiungibili, inizia a rivelarsi per ciò che è: non necessaria e addirittura poco moderna.
Billie Eilish indossa tute extra-large e si tinge i capelli di verde, cantando «Don’t say thank you or please, I do what I want, when I’m wanting to, My soul? So cynical» mentre riunisce un gruppo di ragazzi su tricicli per farsi un giro. Nel vivere o nell’interpretare tutto questo a soli 18 anni, ci sono quel coraggio e quel sottile menefreghismo, di chi riesce a superare la paura della disapprovazione sociale, ma che (in fondo) non nasconde di soffrirne:
Sento i tuoi sguardi, sempre, e nulla di ciò che faccio resta invisibile. Così mentre percepisco la tua disapprovazione o il tuo sospiro di sollievo, penso che se vivessi per loro non sarei in grado di muovermi. Vuoi che sia più piccola? Più debole, più morbida, più alta? Vuoi che stia zitta? Le mie spalle ti provocano oppure sono il mio petto, il mio stomaco, i miei fianchi?
Il video “Not my responsibility”
Il secondo motivo per cui il messaggio di Billie Eilish arriva così forte e chiaro risiede invece nella sua forma. Una dichiarazione ai giornalisti, sebbene rimbalzata milioni di volte, sarà difficilmente influente quanto un video. E il corto di Billie Eilish è tutto tranne che improvvisato. Sebbene il concept sia semplicissimo (una svestizione nel buio) la sua realizzazione è impeccabile e il messaggio ne esce potenziato. Billie si spoglia davanti ai propri haters per scomparire nel buio, mentre la sua voce fuori campo affonda:
Anche se non hai mai visto il mio corpo, lo giudichi e mi giudichi. Perché? Facciamo ipotesi sulle persone in base alle loro dimensioni, decidiamo chi sono e quanto valgono. Se mi copro di più, se mi svesto, chi decide chi sono io? Il mio valore si basa solo sulla tua percezione? Io non sono responsabile della tua opinione su di me.
Avevamo già visto l’artista al centro di video che spaccano lo schermo, irrequieti e provocatori: da Bud Guy diretto da Dave Mayers, a When The Party is over diretto da Carlos Lopez Estrada.
Sull’onda di questi, Not my responsibility sa essere nel contempo minimalista e potente, raffinato e disturbante. Un video capace di parlare ai Milliennials e alla Generazione perchè adotta il loro linguaggio, fondamentalmente visivo. Un video perfettamente in stile Billie Eilish, il cui corpo, davanti a 5 Grammi e 44 premi di levatura internazionale già ricevuti, non può essere il principale oggetto della nostra discussione.
Copertina: frame tratto dal video Not my Responsibility | Source: Youtube