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Cultura

Le statue abbattute nella lotta anti-razzista

La lotta iconoclasta e la decolonizzazione degli spazi richiedono una lettura meno superficiale.

L’omicidio di George Floyd ha sconvolto il mondo intero e riacceso le battaglie del movimento Black Lives Matter. No, il movimento non è nuovo e no, la morte di un afroamericano per mano di un poliziotto non è un evento insolito nella realtà statunitense, ma l’ennesima dimostrazione dell’ignoranza di una cultura profondamente razzista che non ha mai elaborato il proprio passato in modo critico. Ma Floyd, a differenza di altri che hanno condiviso il suo stesso destino, non è morto dietro le cortine. È morto sotto gli occhi di decine di persone che riprendevano inermi i suoi ultimi istanti di vita. Nell’era della tecnologia il video ha fatto il giro del mondo e tanto è bastato a far traboccare anche l’ultima goccia di un vaso ormai colmo. Meno di ventiquattro ore dopo, milioni di persone stavano già protestando nelle piazze: ferite, arrabbiate, esasperate

Black Lives Matter, Los Angeles, Stati Uniti. Foto: Joseph Ngabo

Ci è voluto poco perché le manifestazioni, più o meno pacifiche, si trasformassero anche in una lotta iconoclasta. Il focus si è infatti spostato verso tutti quei monumenti rei di essere la trasfigurazione artistica di colonizzatori, negrieri, schiavisti. La loro richiesta è chiara e diretta: “decolonizzazione” degli spazi pubblici.

Le statue abbattute in America e in Europa

La prima statua a essere stata presa di mira dai sostenitori del movimento è quella di Edward Colston, a Bristol: mercante di schiavi del XVII secolo che ha costruito le sue fortune sulla pelle degli africani, oggi ricordato per le sue opere filantropiche. Gli iconoclasti non si danno pace e proseguono la loro opera di abbattimento.

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A Filadelfia, in Pennsylvania, rimuovono la statua dell’omofobo e razzista Frank Rizzo. A Richmond, in Virginia, tocca al monumento del comandante delle truppe confederate Robert E. Lee. A Nashville, in Tennessee, distruggono quella di Edward Carmarck. Infine, a Saint Paul, in Minnesota, e a Boston, in Massachusetts, il vettore si sposta sulla statua di Cristoforo Colombo che «rappresenta il genocidio». 

Sull’esempio degli Stati Uniti, agiscono di conseguenza anche le costole europee del movimento Black Lives Matter. In Gran Bretagna sfregiano la londinese statua di Winston Churchill, considerato un razzista. In Belgio si sta dibattendo sulla figura dell’ex re, Leopoldo II, controversa per il passato coloniale. E in Italia si sta tornando a chiedere a gran voce la rimozione della statua di Indro Montanelli a Milano, richieste che arrivano sia dal BLM sia da NonUnaDiMeno.

Statue abbattute: la statua di Churchill imbrattata e poi distrutta dai Black Lives Matter a Londra
Black Lives Matter in protesta a Westminster, Londra. Foto: Ehimetalor Akhere Unuabona

La retorica iconoclasta non è una novità durante le rivoluzioni e ribellioni

I motivi di tale accanimento sembrano dissolversi in un tentativo di reiterare quella mai avvenuta guerra e vendetta nei confronti delle figure rappresentate dalle statue. Si sta cercando di eliminarle dalla storia. L’iconoclastia perpetuata durante le rivoluzioni o, come in questo caso, le insurrezioni, non è d’altronde una novità. Lo fecero i francesi quando all’apice delle lotte rivoluzionarie distrussero le effigie dei monarchi poste sulla facciata di Notre Dame a Parigi.

Durante la guerra di indipendenza americana, i Sons of Liberty rasero al suolo la statua di Giorgio III per poi fonderla e ricavarne i proiettili per i loro moschetti.

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I russi non furono da meno quando durante la Rivoluzione d’Ottobre abbatterono molti monumenti raffiguranti i precedenti zar, così come anche delle aquile imperiali, emblema del regime zarista. E L’elenco della statue abbattute nella storia non finsice qui.

La differenza sostanziale fra le iconoclastie del passato e quelle che si stanno perpetuando in questi giorni sta nella tipologia di lotta. Nei casi delle rivoluzioni si ha a che fare con un effettivo passaggio verso una nuova forma di governo, qui si ha a che fare con una ribellione. Se allora le statue abbattute appartenevano ai carnefici contemporanei ai fatti, ora si stanno distruggendo le statue di personaggi defunti ormai da secoli. In pratica, non si è mai elaborato il passato e il ruolo di queste figure che si sta cercando di relegare nella damnatio memoriae in un momento in cui non sono più influenti. 

Rimuoverle sì, rimuoverle no

Se non sono più influenti, allora tanto vale rimuoverle per accontentare tutti, dirà qualcuno. Ed è proprio su questo nocciolo che si dividono le due branche del pensiero: rimuoverle sì, rimuoverle no. La questione, ovviamente, non è mai così semplice come appare, e cercare di ridurre il discorso alla classica dicotomia manichea che tanto piace alla vox populi è estremamente controproducente. Se da un lato infatti il monumento è rappresentativo della narrazione culturale e serve a rafforzare la propria ideologia attraverso figure emblematiche, o ritenute tali, dall’altro si rischia di indottrinare l’osservatore attraverso un falso storico accentuato proprio dalla celebrazione di questi individui ricordati dall’opera.

Statue abbattute: Thomas Carlyle imbrattata dai Black Lives Matter a Glasgow
La statua di Thomas Carlyle a Glasgow a seguito delle proteste Black Lives Matter del 7 giugno 2020. Foto: Colin D

Non è chiaramente la statua in sé a rappresentare il problema, ma la proiezione simbolica e semantica che se ne fa. Tanti dei valorosi che si lamentano della distruzione delle statue si riscoprono improvvisamente critici d’arte, tirando in ballo discorsi sull’importanza estetica e il peso artistico di tali magnificenze che Michelangelo si sognerebbe. No, signori miei, qui non si parla di arte, soprattutto alla luce del fatto che l’unica valenza artistica di gran parte di questi monumenti sta nel loro rappresentare il gusto della propria epoca, ma non siamo certo ai livelli di Borromini e Bernini. Il motivo per cui queste statue non andrebbero rimosse sta, invece, nel loro essere memoria del passato e nella necessità di conservarla. Senza memoria si crea oscurantismo e ignoranza, due elementi fondamentali nella costruzione del negazionismo

Urge, piuttosto, una risemantizzazione della memoria attraverso nuovi modelli interpretativi. Se si integrassero le epigrafi delle statue con i reali atti commessi da questi individui, l’osservatore non si troverebbe in stato di confusione e verrebbe, anzi, istruito sui fatti storici. La censura, al contrario, non sarà mai la risposta ai nostri problemi. La censura è sintomo dell’infantilizzazione del popolo da parte dei governi. 

D’accordo con questa visione si trova anche Banksy che, nel suo solito modo provocatorio, propone di ripristinare le statue abbattute raffigurandole con un cappio al collo

Di Oana Ochiana

Historian of Art and History of Religion student

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