Fuori da venerdì 10 luglio 2020 per Kumomi (distr. Artist First), la nuova realtà urban milanese, il nuovo singolo di Vespro (per la produzione di OMAKE) dal titolo Agave. Un nuovo capitolo che segue i primi singoli dell’artista napoletano classe 1996, entrambi pubblicati a cavallo tra il 2019 e 2020, e la partecipazione con 5 brani a DEMOTAPE [intermezzo], lavoro collettivo di Kumomi uscito durante il lockdown, è arrivato un nuovo singolo che anticipa la pubblicazione di un primo lavoro ufficiale.
Il nome del brano viene dall’omonima pianta che fiorisce una volta sola nella vita, per poi morire. La contrapposizione nelle liriche tra l’eleganza dall’agapanto e la spinosità dell’agave simboleggia la volontà di mettere a nudo tanto i lati più luminosi di Emanuele (Vespro), quanto quelli più oscuri. Se nella vita le lacrime si celano dietro ai petali di fiori, nel brano vengono confessate tutte le paure e le fragilità dell’artista. Questa dicotomia si ritrova anche nella produzione di OMAKE, che assecondando il cantato di Vespro esula dagli stilemi classici dell’r&b per dare vita a una composizione che alterna organi e pianoforti alle sonorità anni Ottanta per esprimere al meglio tutte le sfaccettature e le emozioni del brano.
Emanuele Daniele Ruffo aka Vespro, nasce a Napoli il 26 Novembre 1996. Cresciuto ascoltando r&b e hip hop, muove i suoi primi passi nella musica sin dall’età di 16 anni. Partito come rapper conscio, Vespro inizia a sperimentare sonorità più melodiche, anche grazie alla collaborazione con il producer Omake. L’11 Gennaio 2019 esce il suo primo singolo interamente cantato dal titolo 512. Da quel momento inizia il sodalizio con Kumomi che lo porta alla scoperta di sonorità a cavallo tra l’r&b, il pop e la musica elettronica.
Quando e come ti sei approcciato alla musica?
Fin da piccolo ho sempre avuto un amore smisurato per la musica. Mi ricordo che già dalle scuole medie scambiare continuamente canzoni col bluetooth mi mandava in fissa. A 15 o 16 anni ho iniziato ad ascoltare rap. Mi piaceva soprattutto quel modo così schietto di comunicare, mi sembrava fosse immediato e alla portata di tutti. Mi resi conto infatti, un po’ perché volevo tirare fuori i miei lati nascosti e soprattutto perché volevo farlo attraverso la musica, che probabilmente quello era il mezzo più adatto per riuscirci. Di lì a poco iniziai a scrivere le mie prime canzoni. Chiaramente adesso non mi sento più un rapper, ma sento ancora miei quell’immaginario e quei primi passi incerti mossi nel mondo della musica.
Quali sono i tuoi principali riferimenti in ambito musicale?
Mi piacciono davvero tante cose diverse: dall’R&B alternativo di Frank Ocean a quello più pop ed elettronico di The Weeknd. Mi piace il rap americano, da J. Cole a Kendrick, fino a Drake e Bryson Tiller. Poi il vecchio cantautorato e il pop italiano, vedi Tenco, Mengoni e Cremonini. Da pochissimo tempo a questa parte mi sto anche appassionando al rock, ma ci vado ancora piano. Diciamo che piuttosto che il genere, nella musica ricerco quell’emozione che ti fa vibrare tutto il corpo e ti lascia qualcosa nel cuore. Questo è facilmente intuibile se si pensa che sono cresciuto ascoltando Michael Jackson, Ghemon e Pino Daniele, che definirei come i pilastri su cui ho costruito e sto costruendo tutto il mio gusto musicale.
Agave è il tuo nuovo singolo. Perchè hai deciso di intitolarlo così? Raccontaci qualcosa di più del significato della canzone.
L’agave è una pianta spinosa che fiorisce una sola volta nella vita e poi muore. Non è particolarmente bella, ma mi aveva incuriosito molto questa sua caratteristica. Così ho voluto metterla a confronto con l’agapanto che, invece, è un fiore molto elegante e colorato per parlare metaforicamente dei due lati del mio carattere: uno più luminoso, chiaro e sensibile, l’altro più spinoso e difficile.

Quanto c’è di autobiografico in questo ultimo brano e nella tua produzione in generale?
Moltissimo. Il brano vuole proprio mettere a nudo tutte le mie debolezze e i miei controsensi. Una sorta di “telefonata immaginaria” in cui chiedo scusa per tutto ciò che sono e ciò che faccio, dalla banale paura di uscire durante il periodo del Covid, fino al mio essere un sognatore incallito che spesso si distacca dalla realtà e fa fatica ad affrontare la vita vera. Qui volevo proprio abbassare la guardia e dire: “hey, eccomi qua, questo sono io nel bene e nel male, senza maschere né trucco”. Credo di esserci riuscito come mai prima d’ora, anche se tendenzialmente in tutte le mie canzoni cerco sempre di tirare fuori qualcosa di me che a volte taccio o faccio fatica ad esternare.
Parlaci di com’è nato il sodalizio con Kumomi.
Ho conosciuto Francesco (Omake) quando stavo iniziando a lavorare a 512. Inizialmente lui doveva farmi soltanto da produttore artistico e io non avevo ancora alcun’etichetta che curasse il mio progetto. Poi qualche mese dopo mi parlò di Kumomi, della sua idea e della voglia di coinvolgermi in questa cosa. Mi gasai fin da subito per l’approccio che voleva dare alla sua “casa per idee”. Prima ancora che Kumomi nascesse, ero già parte della famiglia.
Cosa ne pensi della scena rap odierna?
Non ascolto troppo il rap odierno, ma credo che tra le nuove leve della scena italiana ci siano dei fenomeni assoluti come Tedua o Massimo Pericolo. Quella roba lì è davvero fuori dal mondo, qualcosa di inimitabile e insostituibile discograficamente parlando. Poi apprezzo molto anche la scrittura di Ernia, molto elegante, ma decisamente credibile quando deve esserlo.
Ascolto anche alcuni artisti meno famosi, ma altrettanto forti. Ad esempio, Lil Jolie credo abbia tutte le carte in regola per spaccare nei prossimi mesi. Come lei, anche se sono di parte, il nostro Canntona, che considero un talento pazzesco. Insomma, non mi ritengo un grande amante di quella trap secca e con pochi contenuti che piace molto adesso, non rispecchiandomi in quelle tematiche e in quel tipo di sound, anche se capisco perché attiri così tanto.
Nascere a Napoli ha influenzato in qualche modo il tuo percorso, il tuo stile?
Assolutamente sì, sia a livello musicale, sia a livello personale. Nascere nella periferia di una grande città come Napoli mi ha indubbiamente formato e ha cambiato il mio modo di vedere le cose per certi versi: dalla banale difficoltà con cui raggiungevo il centro il sabato sera e il fatto che mi dovessi svegliare praticamente all’alba per andare a scuola, a differenza dei miei compagni di classe. Ricordo il mercatino rionale di Scampia dove andavo a comprare i vestiti da ragazzino e i bambini del quartiere che vedevano me e i miei amici come delle vere e proprie star quando abbiamo iniziato ad esibirci. Queste sono tutte cose che nel bene e nel male mi hanno segnato, ma potrei continuare per ore con storie così.
Come detto poco fa, sono cresciuto ascoltando Pino Daniele e tutto quel filone di musica partenopea dello scorso secolo. E, sebbene ascolti tantissimi artisti d’oltreoceano, sono un fan sfegatato di gran parte della musica che viene prodotta a Napoli: dalla canzone classica di inizio Novecento fino a Liberato e i Nu Guinea, passando per i Co’ Sang e Nino D’angelo.
Sono molto legato a una vecchia frase che faceva più o meno così: “chi è nato a Napoli tiene i piedi all’inferno e la testa in paradiso” e questa è una grande verità. Nonostante le sue difficoltà e i suoi controsensi, Napoli ti dona un modo di approcciarti alla vita che riesci a comprendere soltanto se ci nasci. La poesia, l’arte, la comicità, la passione dei napoletani sono qualcosa di unico e inimitabile e sono felice di poterne godere nel mio piccolo anch’io.
Cosa ti piace oltre alla musica?
La musica è tutta la mia vita, ma mi ritengo anche una buona forchetta e, di conseguenza, mi piace molto cucinare, soprattutto per più persone. Credo che, come la musica, cucinare per qualcuno sia un grande gesto d’amore.
Definisci Vespro con una frase.
Bella domanda. In realtà c’è una frase, anche se nata per scherzo, ed è: “Io sono uno stronzo vestito da bravo ragazzo vestito da stronzo”. Come si suol dire, a buon intenditor poche parole.
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