Una iniziale carriera calcistica giovanile interrotta per amore della musica a 22 anni, un primo EP pubblicato e una serie di singoli – 16enne, Pallonate, Santamadre, Mascara, Kenshiro e Bevi Bevi – sono il preludio all’esordio discografico di Vanbasten. Canzoni che sarebbero dovute uscire tot anni fa è un album che contiene 10 brani, rappresentativi di un immaginario fatto di periferie, amori, ferite, violenza, sconfitte, voglia di rivincita e di riscatto, in cui è l’esigenza di descrivere la realtà a guidare la narrazione.

Perché hai deciso di chiamarti Vanbasten? Il riferimento all’omonimo calciatore Marco Van Basten non sembra puramente casuale.
Mio padre mi aveva regalato una maglietta arancione dell’Olanda, era tarocca e dietro c’era scritto Van Basten. Quando scendevo a giocare per strada la mettevo sempre e col tempo la gente iniziò a chiamarmi con il nome che avevo dietro la maglietta. Si tratta più di un soprannome che di un nome d’arte vero e proprio, ma a me piace così.
Perché hai abbandonato la carriera calcistica? Te ne sei mai pentito? (Dicono che si guadagni di più a fare il calciatore).
Sicuramente sarei stato più ricco, ma non faceva per me. Ho lasciato quel mondo perché stavo sempre fuori di casa ed invece sognavo sempre di più di chiudermici e di iniziare a giocare con tutte quelle cose legate alla musica che da sempre mi avevano affascinato. Poi volevo stare con i miei amici, volevo perdere tempo. Non mi sono mai pentito di aver lasciato il calcio, ma è come per molti altri ragazzi, il primo amore non si dimentica mai. Avevo iniziato a sognare di suonarci all’Olimpico, non di giocarci.
Qual è l’album che ti ha segnato di più in adolescenza?
Unknow Pleasures dei Joy Division mi sconvolse la prima volta che lo ascoltai, mi innamorai di quella profondità a metà della prima traccia, ma fu dopo l’adolescenza. All’epoca avevo un rapporto particolare con la musica, vedevo lo stereotipo del musicista nel pischello sfigato che entrava al liceo con la chitarra e odiavo quell’immagine. Seguivo la roba internazionale su Mtv e ascoltavo i vecchi dischi che avevo a casa, ma al di fuori cercavo di non lasciarmi coinvolgere, forse ero solo ancora diffidente.
Com’è nato il tuo disco d’esordio e perché quelle canzoni “sarebbero dovute uscire tot anni fa”?
Dovevo mettere insieme un po’ di canzoni scritte negli ultimi anni e questa è stata l’occasione per farlo. Mascara l’ho scritta nel 2011, 16enne nel 2017 e Pallonate nel 2015, sono solo tre esempi, ma queste canzoni esistevano già da un bel po’ ed era giusto che uscissero così.

Eurospin, Pallonate, Kenshiro: quanto c’è del tuo passato e del tuo presente nei tuoi testi?
Le mie canzoni sono tutte ispirate dagli esseri umani, non scrivo per compiacermi, al massimo per sfogarmi, qualche volta per sollevarmi. Il mio passato a volta ci casca dentro perché quando sono malinconico scrivo spesso, ma più che altro racconto il presente di ciò che mi orbita intorno, il mio quartiere, i miei amici, le mie cose.
Quanto è difficile promuovere un nuovo album in un periodo così buio per la musica live?
Abbastanza, ma c’è gente che ha problemi più grandi e penso che un disco possa trovare un posto anche in un momento così. La promozione c’entra poco, dura il tempo che la gente ti concede di starti ad ascoltare, è giusto così ed è bello così.
Se potessi scegliere, con quale artista del panorama italiano o internazionale ti piacerebbe fare un featuring?
The Queen, Lady Gaga.
Definisciti con una frase.
Sono un killer sotto al sole solo a crivellar parole, lasciami restare lasciami tentar l’immensità.