La street art è creata per raccontare una storia, promuovere un’idea, illustrare una cultura, far riflettere lo spettatore o creare un’esperienza. Sirante, acuto critico dell’attuale mondo politico, in questi tempi di allontanamento sociale, lancia un messaggio inducendo l’arte a diventare “una realtà sempre più strutturata nelle nostre vite”.
Con Just Art anche le opere d’arte diventano oggetto di delivery. Instagram ne diviene la vetrina e un semplice cartone per le pizze il nuovo supporto. Con una provocazione tanto fantasiosa quanto militante, lo street artist Sirante (di cui non conosciamo il volto) sembra sottolineare il necessario avvicinamento dell’arte alla vita quotidiana delle persone. Just art ha avuto una risonanza mediatica dirompente, arrivando, almeno nell’ambito del dibattito, a colpire nel segno. Pur difendendo il proprio anonimato, in questa intervista Sirante ci racconta qualcosa di più del suo concetto di sperimentazione artistica.
Sappiamo che non vuoi rivelare la tua identità, ma spiegaci una cosa: cosa fa Sirante nella vita (oltre l’arte)?
Lavoro. Ho avuto la fortuna di fare quello che volevo. In un certo senso possiamo dire che la mia attività è una sorta di street art o meglio, io la interpreto così. Perdonami la vaghezza nella risposta ma di più non posso dirvi.
Quando e come ti sei avvicinato alla street art?
Alle medie ho iniziato a fare delle tag e realizzavo degli adesivi con gli stencil. Per vari motivi, ho sempre taggato su cassonetti, parchimetri, cassette Acea, ecc. Mai o quasi mai sui muri. Mi ricordo anche che al liceo personalizzavo i banchi dei miei compagni. Terminata la scuola, per studio e poi per lavoro, ho smesso. Ma sai, come si dice, tutto torna.
Cosa hai provato quando la tua prima opera ha avuto così tanta risonanza mediatica?
La sera che ho messo in strada I Bari era una sera come tante, se vogliamo; ma appena ho acceso il telefono la mattina dopo ho visto cosa stava succedendo! Non pensavo potesse accadere una cosa simile, è stato tutto inaspettato ed ha avuto un impatto sulle mie emozioni alla massima potenza. Ero felicissimo e da quel momento ho capito che non stavo lavorando solo per me stesso, anche se in minima parte stavo smuovendo qualcosa nelle persone. Di conseguenza, ho realizzato che tutto deve essere più pensato. In questo mondo “social”, riesci subito ad apprendere la reazione della gente. Parlare con le persone è una delle conseguenze più belle di fare street art. Con l’ultimo lavoro invece, il contatto è stato diretto; mi riferisco a Just Art.
Ai tempi del Covid-19 viviamo in sistemi stabili, poco flessibili; siamo condannati a guardare il mondo da pochi e immutabili angoli di visuale. Abbiamo bisogno di nuove visioni, di attuare un cambiamento; che ruolo può avere l’arte? Come può accelerare questo processo?
Come la storia insegna, anche da un periodo buio però possono nascere nuove opportunità, io da questo punto di vista sono molto fiducioso. Purtroppo sono dei cicli, degli avvenimenti più grandi di noi. Credo, sempre umilmente parlando per ciò che mi riguarda, i sacrifici chiesti finora sono assolutamente sostenibili. Al mondo c’è chi i sacrifici, quelli veri, li fa da sempre ogni giorno. L’arte in questo momento storico, ancor più che negli ultimi decenni secondo me è indispensabile. Bisogna farla diventare qualcosa di strutturale, di quotidiano. L’arte è sperimentazione e l’artista è colui che per primo sperimenta nuove tecnologie, che dovrebbe vivere nuove situazioni per poi trovare la chiave giusta per dominarle.
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Il tuo ultimo progetto “Just art” che messaggio porta con sé?
Just Art nasce per vari motivi. Posso riassumere con il fatto che l’arte è troppo meravigliosa per essere “accantonata”. Durante questa pandemia il delivery ne è divenuto il simbolo, un servizio molto diffuso per riempire la pancia, ma anche l’anima va sfamata: la possibilità di ordinare delle opere, da noi scelte, e averle consegnate a casa in comune cartone da pizza, che ne diviene supporto come se ne fosse la tela. È un mezzo che sta funzionando molto anche perché arriva ai giovani.
Opere che rispecchiano le emozioni, le situazioni e i momenti che stiamo vivendo dall’inizio di questa pandemia. Questo non vuole svalutare l’arte, ma accompagnarla con un oggetto testimone di questo momento storico. Il progetto è nato come singola azione dimostrativa tramite consegne gratuite. Il numero di richieste è stato inaspettatamente alto, testimone del bisogno di arte fra le persone, ed è stata realizzata una seconda ondata di consegne, con un costo minimo utile solo al finanziamento del progetto: l’iniziativa non è a scopo di lucro.
Ora sto lavorando ad una terza ondata, con nuove opere e un ulteriore sviluppo dell’idea. Ad esempio, la possibilità di usufruire di una video lezione sull’opera ordinata, preparata da uno storico dell’arte. Il concetto dietro l’idea di Just Art è ben riassunto nelle parole di Picasso: «L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni».
Attualmente il tuo lavoro si è concentrato in diversi quartieri di Roma, hai intenzione di intervenire anche in altre città?
Appena passa questo periodo sicuramente sì. Ogni lavoro, se messo nel giusto luogo, diventa più potente. Poi per il “vero lavoro” mi ritrovo spesso a viaggiare non solo in Italia, quindi chissà, potrei unire l’utile al dilettevole.
Che consigli daresti a chi sta muovendo i primi passi nella Street Art?
Se intendiamo il voler far dell’arte la propria vita, da un punto di vista più interiore, basta farlo, senza nessuno scopo, ma farlo.
Testi: Serena Gaudenzio e Teresa d’Alessandro